L’odierna organizzazione del lavoro in azienda deve fare i conti con esigenze contrapposte: da un lato la continua crescita delle attività con modalità di prestazioni molto diversificate e variabili (ed il più possibile qualificate) unito all’esigenza di ridurre i costi per restare competitivi obbliga le aziende ad abbandonare la tradizionale stabilità e sperimentare nuove forme di flessibilità organizzativa; da un altro lato la necessità di garantire, e se possibile migliorare, il livello di prevenzione nei luoghi di lavoro e la tutela della sicurezza di qualunque lavoratore costringe le aziende a dare stabilità e certezza programmatica alla gestione della prevenzione.

Il fabbisogno di manodopera delle imprese è quindi soggetto a frequenti oscillazioni, quantitative e qualitative, dovendo adattarsi alle mutevoli esigenze produttive e ciò comporta un aumento (talvolta incontrollato) della propensione all’instaurazione di rapporti lavorativi temporanei.

Esigenze produttive contro obblighi di sicurezza: dal punto di vista normativo, se su un fronte si è assistito ad una progressiva de-regolamentazione, sull’altro la legge si è mantenuta su livelli di rigore ed anzi, oggi si scorgono segnali di possibile inasprimento: risulta allora necessario definire i contorni relativi all’applicazione delle norme di prevenzione e sicurezza: fino a che punto obbligare l’impresa? e come contemporaneamente garantire il rispetto dei diritti in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro nei confronti del lavoratore?

Una sintesi esemplare della suddetta situazione “bipolare” è ravvisabile nella disciplina della somministrazione di lavoro, una delle riforme più importanti e controverse introdotte dalla legge Biagi (Legge 276/2003), così come interpretata dalla Circolare Ministeriale n° 7 del 22 febbraio 2005, ed oggi regolamentate da un ulteriore intervento di modifica ed integrazione, cioè il dall’art.35 comma 4 D.Lgs. 15 giugno 2015 n.81 (“Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”), che ora rappresenta il punto di riferimento normativo in materia di somministrazione di lavoro, sotto ogni aspetto, salute e sicurezza compresa.
Prima di studiarne l’applicazione e gli effetti, è bene ripassare nascita ed evoluzione dell’istituto in questione.

Esso prende le mosse da un principio sancito in modo inequivocabile dalla legge ma che col tempo è risultato inadeguato subendo un’evoluzione sfociata nella definitiva abrogazione.

La Legge 1369/1960 disciplinava in modo esaustivo e rigoroso il fenomeno della interposizione di mera manodopera vietando (art. 1) di affidare in appalto (o in subappalto o in qualsiasi altra forma) l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro, per qualunque tipo di attività, mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita dall’interposto (appaltatore, subappaltatore, società cooperativa o altri). Ciò al fine di reprimere le situazioni nelle quali, sotto una copertura formale di contratto d’appalto, le parti si accordassero per eludere le norme poste a tutela del lavoratore (oneri di sicurezza compresi). Infatti l’appaltatore, non possedendo una organizzazione aziendale propria né una gestione d’impresa a proprio rischio, mancava dei requisiti essenziali richiesti per la definizione di un contratto d’appalto valido (art. 1655 C.C.) ricoprendo solo il ruolo (abusivo) di intermediario tra forza lavoro e committente (vero datore di lavoro).

Il mutato panorama socio-economico ed i mutati processi produttivi comportanti un ricorso sempre maggiore al decentramento o all’esternalizzazione (outsourcing) hanno reso sempre più evidente l’inadeguatezza di un vincolo forte come quello del divieto di interposizione di manodopera.

Una prima deroga al principio sopra espresso viene introdotta dalla disciplina del lavoro temporaneo (c.d. interinale) varato con la riforma Treu del 1997 (articoli 1-11 Legge n. 196/1997) e finalizzato a consentire, pur con molte cautele, una forma di utilizzo più flessibile della forza lavoro: apposite società potevano assumere lavoratori con contratto di lavoro temporaneo (subordinato) per metterli, attraverso un secondo contratto di fornitura stipulato con Aziende interessate, a disposizione di queste ultime che beneficiavano della loro prestazione esercitando il necessario potere direttivo.  Veniva quindi autorizzata una fornitura di mere prestazioni di lavoro tra società fornitrice ed utilizzatore.

Tali disposizioni hanno presto evidenziato forti problematiche di compatibilità con la più rigorosa disciplina (sia quella risalente agli anni 50 che quella introdotta dal D.Lgs. 626/1994) riguardante la prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro proprio a causa della “dissociazione” tra datore di lavoro “formale” (Agenzia fornitrice), e quello “sostanziale” gestore di fatto della risorsa somministrata anche attraverso poteri di coordinamento, sorveglianza e controllo (datore di lavoro, dirigenti e preposti della Azienda utilizzatrice).

Nel 2003 la Legge Biagi (n.276/2003) ha espressamente abrogato (art. 85, comma 1) la previgente normativa: sia la Legge 1369/1969 che la disciplina del lavoro interinale contenuta nella Legge Treu (196/1997) sono state sostituite da un nuovo impianto normativo riportante una esplicita regolamentazione della fornitura professionale di manodopera denominata “somministrazione di lavoro” (artt. 20 ss).

Tale istituto è articolato su due contratti, uno di somministrazione (tra Agenzia somministrante ed utilizzatore, art. 20 e 21) e l’altro di lavoro subordinato (tra l’Agenzia ed il lavoratore (art. 22); l’attività di somministrazione può essere esercitata esclusivamente da apposite agenzie autorizzate e controllate dal Ministero del Lavoro ed iscritte a specifico Albo Nazionale (all’utilizzatore l’onere della scelta di una Agenzia idonea a pena di irregolarità del contratto).  L’Agenzia autorizzata, provvede ad assumere il lavoratore e ad inviarlo, in esecuzione del contratto di somministrazione, presso l’utilizzatore che lo utilizza nel proprio interesse ed esercitando il potere direttivo e di controllo (art. 20, co. 2).

Il contratto di somministrazione è quindi di natura commerciale (in forma scritta a pena di nullità): particolare attenzione dovrà essere dedicata all’indicazione sullo stesso della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate (art. 21 comma 1 lett. d) così come delle mansioni alle quali lo stesso sarà adibito (art. 21 comma 1 lett. f).

Innovativa è la previsione della possibilità di un contratto di lavoro in somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing, art.20 comma 3) per lo svolgimento di specifiche attività individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali. La somministrazione di lavoro a tempo determinato invece, è condizionata all’esistenza (documentata ed esplicitata in contratto) di precise “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” indipendentemente dal fatto che esse siano “riferibili all’attività dell’utilizzatore” (art. 20 comma 4): la legge pretende cioè che si giustifichino formalmente i motivi che costringono l’utilizzatore ad un ricorso a manodopera senza vincoli di maggiore stabilità e continuità e ciò anche al fine di evitarne un utilizzo indiscriminato e dunque, potenzialmente pericoloso o lesivo dei diritti contrattuali o di sicurezza dei lavoratori.

E’ evidente che le implicazioni sul versante di sicurezza non sono certo eliminate, ma la Legge Biagi per la prima volta prova a colmare in modo esplicito le lacune e le interferenze che la dissociazione dei rapporti lavorativi provoca anche nella gestione della tutela antinfortunistica.

Infatti tra le primarie condizioni di liceità per la costituzione di un contratto di somministrazione valido la legge richiede (art. 20), da parte dell’impresa utilizzatrice, la regolare effettuazione della valutazione dei rischi ex art. 4 D.Lgs. 626/1994 (oggi disciplinata dagli artt. 17 e 28 D.Lgs. 81/2008). Si vuole in tal modo evitare un utilizzo di personale per mansioni che possano essere trascurate sotto il profilo dell’analisi del rischio e dell’adozione di adeguate misure di prevenzione.

In modo ancora più esaustivo inoltre, l’art. 23 elenca i principali obblighi di prevenzione e sicurezza individuando di volta in volta il soggetto deputato a garantirne l’adempimento (Agenzia o Azienda utilizzatrice); tale ripartizione affida all’utilizzatore l’onere primario di garantire al lavoratore somministrato tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei lavoratori già alle proprie dirette dipendenze (art. 23 comma 5) e quello di computare la manodopera somministrata nell’organico dell’utilizzatore ma solo per quanto concerne la normativa di igiene, salute e sicurezza: l’impresa dunque, sotto il profilo degli obblighi prevenzionali dovrà trattare il personale somministrato (a tempo determinato o indeterminato) come proprio (ad esempio per alcuni oneri di valutazione, per l’adempimento di obblighi relativi all’emergenza ed evacuazione, alla gestione delle squadre di pronto soccorso, all’elezione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza).

Ancora: è fatto obbligo al somministratore, dopo avere garantito la corretta assicurazione del lavoratore contro gli infortuni, di verificare l’avvenuta valutazione dei rischi da parte dell’utilizzatore; in secondo luogo di informarlo sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive in generale e di formarlo e addestrarlo all’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento delle specifiche attività per la quale viene assunto (a meno che il contratto non disponga diversamente nel qual caso anche il lavoratore deve essere informato). Da notare inoltre che la somministrazione diventa irregolare (art. 27, comma 1) quando il contratto non indichi esplicitamente la presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore.
Contratto in forma scritta e obbligo di indicazione, tra gli elementi necessari ad una sua valida costituzione  di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate” vengono ribaditi anche dalla normativa di riforma (Art. 33 c.1 lett.c) D.Lgs.81/2015).

È evidente che uno dei maggiori sforzi su cui le parti dovranno concentrare la propria attenzione consiste nella pianificazione della informazione e formazione da garantire al lavoratore somministrato: in particolare è necessario dare evidenza delle informazioni date da parte dell’Agenzia e del tipo (argomenti e tempistica) di formazione fornita; ciò al fine permettere all’utilizzatore (Azienda) di integrare idoneamente la formazione anche sulla base della propria esperienza (organizzativa e produttiva) e delle proprie necessità operative. Se le informazioni di base  (“attività produttive in generale”) dovranno essere illustrate dall’Agenzia, le particolarità (condizioni specifiche, procedure, ambienti di lavoro, misure di prevenzione collettive, DPI etc. ) del lavoro potranno essere erogate con maggiore efficacia dall’Azienda. In proposito – pur non essendo espressamente previsto dalla norma (se non in via indiretta all’art. 28) – è necessario assicurare che quest’ultima, all’interno della sua valutazione, abbia preso in considerazione tutti i rischi relativi all’attività somministrata senza accontentarsi di indicazioni generiche: esistono in particolare dei rischi supplementari derivanti dalle particolari modalità dell’inserimento nell’impresa, da fattori psicologici, dalla non abitudine ai comportamenti convenzionali di ciascun ambiente di lavoro, dall’utilizzo di macchinari e strumenti spesso nuovi, e su questi rischi l’Azienda dovrà assicurare adeguata informazione e formazione specifica.  Lo stesso vale per un efficace addestramento all’uso delle attrezzature specifiche della mansione, cosa che assumerà vero valore preventivo se effettuato sul campo, da parte dell’utilizzatore.

Nel caso in cui “le mansioni cui è adibito il prestatore di lavoro richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici”, l’utilizzatore è tenuto a darne tempestiva informazione al lavoratore e ad osservare nei suoi confronti tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti: dal punto di vista sanitario dunque il lavoratore somministrato va equiparato al dipendente dell’utilizzatore. Come ribadito dalla Circolare Ministeriale n° 7 del 22 febbraio 2005, l’utilizzatore ha l’onere di organizzare con il proprio medico competente la calendarizzazione delle visite, di assicurare che lo stesso istituisca e conservi la cartella sanitaria (presso l’Azienda) ne consegni copia al lavoratore ed all’Agenzia somministratrice, nonché di gestire eventuali prescrizioni mediche riguardanti l’idoneità (parziale o totale) al lavoro e alle mansioni somministrate.

Utilizzando il lavoratore sulla base delle proprie esigenze produttive ed esercitando sullo stesso il potere di direzione e controllo, l’utilizzatore assume anche l’obbligo di comunicare all’Agenzia eventuali elementi necessari all’esercizio del potere disciplinare o eventuali infortuni in cui il lavoratore sia incorso; spetta all’Agenzia, una volta informata, provvedere a esercitare in modo autonomo il potere disciplinare. Per quanto concerne la gestione di eventuali infortuni, l’Azienda utilizzatrice dovrà conservare presso il luogo di lavoro un registro infortuni (a disposizione dell’organo di vigilanza) su cui annotare anche gli infortuni occorsi al personale in somministrazione e darne tempestiva comunicazione al somministratore per gli adempimenti di competenza (denuncia obbligatoria all’INAIL o altro Istituto Assicuratore).

Nell’ambito delle attribuzioni e competenze così ripartite vanno dunque individuate – di volta in volta – le responsabilità scaturenti da eventuali contravvenzioni in materia di sicurezza.

Il ricorso a manodopera esterna continua a rimanere una situazione di potenziale difficoltà organizzativa e di riflesso un ostacolo alla efficace gestione della sicurezza; tuttavia, il legislatore oggi ha gettato le basi per una regolamentazione che se non può eliminarli del tutto, almeno punta a ridurre i rischi di elusione di obblighi di sicurezza nei confronti di personale flessibile (rendendolo, di fatto, sempre meno “atipico”).

A conferma di ciò, sulla scia di quanto fin qui analizzato, il Legislatore è più di recente intervenuto con l’inserimento, all’interno del nuovo Testo Unico per la Sicurezza, D.Lgs. 81/2008 smi, dell’art. 3 (“Campo di applicazione”) comma 5 (“nell’ipotesi di prestatori di lavoro nell’ambito di un contratto di somministrazione di lavoro di cui agli art. 20 e seguenti D.Lgs. 276/2003 smi, fermo restando quanto specificamente previsto dal comma 5 dell’art. 23 del citato Decreto, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico dell’utilizzatore”).

In continuità, ma a ben vedere anche in evoluzione, con quanto indicato dal tuttora vigente decreto 276/2003, il comma 5 sposta con sempre maggiore forza sull’impresa utilizzatrice gli oneri di prevenzione e tutela del lavoratore somministrato, riconoscendo il ruolo sostanziale della prima, come debitrice principale di sicurezza nei confronti del secondo: è ovvio quindi che l’utilizzatore dovrà garantire alla risorsa fornita in somministrazione l’assolvimento di tutte le tutele tempo per tempo vigenti (in questo la norma è molto categorica).

Tale previsione, chiarificatrice ed al contempo grossolanamente semplificativa, sembra non tenere nel dovuto conto la realtà di utilizzo di queste risorse. D’altro canto, nessuno è in grado, specialmente nel momento contingente, di contestare il diritto dell’impresa di ricorrere a tale istituto pur potendo (e dovendo) valutare con maggiore ponderatezza e tranquillità, onori ed oneri derivanti dal ricorso al contratto di somministrazione. Dunque maggiore equilibrio da parte del legislatore nella definizione delle reali modalità di prevenzione non avrebbe guastato, soprattutto se si pensa che oggi l’impresa (utilizzatrice), in un contesto connotato da una crescente complessità organizzativa, una ultra-flessibilità dei mercati e della concorrenza e da tempi sempre molto ristretti, è costretta a fare i conti con obblighi sempre più invasivi ed onerosi: tra tutti valga l’esempio degli obblighi formativi previsti dal recente Accordo Stato Regioni (dicembre 2011 e giugno 2016) integrativo del D.Lgs. 81/2008, in materia di informazione e formazione del personale dipendente (ed equiparato).

Ad oggi , come accennato in premessa, assistiamo ad una regolamentazione specifica della somministrazione, affidata al Capo IV artt. 30 ss del D.Lgs. 81/2015, specificamente rubricato “Somministrazione di lavoro”.
Esso riforma il pregresso, pur mantenendo stabili tutti i suddetti capisaldi dell’istituto, ed anche alcuni dubbi applicativi cui si è accennato.
Esplicita in tal senso è già la nuova definizione che troviamo all’art. 30:
“Il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un'agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore”. Se, come è vero, in campo prevenzionistico quello che conta è la sostanza dei poteri di governo del rapporto lavorativo in gioco (come afferma uniforme e consolidata giurisprudenza in materia ed anche l’art. 299 D.Lgs. 81/2008), pare logico sottolineare, che l’utilizzatore il soggetto su cui è necessario spostare lo sguardo, per individuare il garante primario, pur in un sottile equilibrio disciplinare e contrattuale, che ha natura triangolare, per così dire, e comunque al di là delle affermazioni teoriche prescritte dalla norma.
Fermi dunque restando gli equilibri descritti sopra, concentriamoci sull’art. 35 “Tutela del lavoratore, esercizio del potere disciplinare e regime della solidarietà”
Anzitutto la parità di trattamento, a carico dell’utilizzatore, al comma 1: “Per tutta la durata della missione presso l'utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore”. E ciò, al fine di fugare ogni dubbio, anche in quel delicato campo che è l’onere retributivo e contributivo: il rapporto è con l’Agenzia, ma l’utilizzatore “vi è trascinato dentro” dal comma 2 “L'utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali, salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore”.
Il punto prevenzionale è tutto nel nuovo comma 4: Il somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive e li forma e addestra all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa per la quale essi vengono assunti, in conformità al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Oneri di informazione anche specifici, e formazione e perfino addestramento a carico di chi invia la risorsa, e la paga, perché l’ha assunta, ma con una clausola di salvaguardia ad aumentare la tutela prevenzionale - altrimenti assolta forse in modo troppo generalista – tramite la possibilità di spostare sull’utilizzatore, previo accordo contrattuale esplicito, l’obbligo appena descritto (informazione, formazione ed addestramento). Infatti: “Il contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall'utilizzatore. L'utilizzatore osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei propri dipendenti”. Si fa dunque leva sulla parità di trattamento con gli altri e di fatto si consente, e forse addirittura si incentiva, la gestione delle risorse in somministrazione, alla stessa stregua di quelle interne e stabili. A carico dell’utilizzatore.
I restanti commi, seguono e confermano - a livello, retributivo, sindacale, di esercizio del potere disciplinare e di eventuale assunzione e/o di tutela e di risarcimento per danni verso terzi - i principi sopra espressi.

Sembra in tal modo che il legislatore abbia, almeno per un po’, definito i contorni degli obblighi in gioco, in sostanziale continuità con la regolamentazione previgente, aggiungendo particolari accorgimenti (doverosi) e facilitazioni in termini di tutela del personale lavorativo considerato “debole”.

DR. IGNAZIO QUATTRIN – Responsabile Area Giuridica CEPER